Da una ricerca dell’ Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano e Assochange effettuata su 179 aziende italiane di grandi dimensioni emerge che il 62% dei progetti di trasformazione digitale in azienda fallisce. In un White Paper di 36 pagine Mariano Corso e Andrea Rangone, aiutano le aziende a capire come entrare nella quota di successi. Di seguito riportiamo i punti salienti del paper.
Secondo la ricerca dell’Osservatorio, il vero problema è lo scarso engagement delle persone
In sostanza, le persone non sono a bordo nel processo di trasformazione e questo è un freno enorme perché mina alle basi la cosiddetta 4° Rivoluzione Industriale.
Proprio nella trasformazione profonda del modo di lavorare, nel tipo di competenze e professionalità necessarie sta la differenza tra 3° e 4° Rivoluzione industriale: la digitalizzazione dei processi con l’introduzione degli ERP o altre applicazioni/tecnologie di supporto all’ottimizzazione delle attività poteva funzionare anche con una forzatura, imponendone l’utilizzo perché, in fondo, si trattava solo di strumenti che non andavano a incidere nel profondo, non richiedevano alle maggioranza delle persone di mettersi in gioco in profondità in termini di competenze e professionalità. La 4° Rivoluzione industriale è profondamente diversa, ha successo solo se le persone sono coinvolte.
L’adozione di questo modello porta vari benefici in termini di innovazione, conoscenza, apertura al cambiamento, coinvolgimento e soddisfazione, difficilmente misurabili, soprattutto in termini di business e competitività.
Le aziende hanno una grande difficoltà a misurare, perché oggettivamente si tratta di trasformazioni difficili da misurare, nelle quali i tradizionali parametri di riferimento si rivelano fallaci (qual è il ROI di un progetto se è in gioco la sopravvivenza stessa dell’azienda?).
Generalmente nelle aziende vengono utilizzati indicatori un po’ più tradizionali (Risultati economici e Consumo di risorse impiegate) e indicatori riconducibili alle nuove forme di organizzazione aziendale (Cultura aziendale e modello di leadership e Acquisizione di nuove conoscenze e competenze). I primi risultano più facili da misurare mentre i secondi, sebbene si riconosca un’importanza di misurazione mediamente alta, risultano i più difficili.
Le aziende che non raggiungono l’equilibrio tra questi due indicatori, generalmente commettono questi 2 errori:
Bisogna essere in grado di attivare il DNA digitale che c’è nelle persone per ingaggiarle nel processo di trasformazione, ma questo è possibile se le persone non hanno paura del futuro, se non si sentono minacciate e inserite in un “tessuto” sociale e organizzativo malato. Di qui l’importanza di una People Strategy positiva e motivante, che riduca il senso di ansia e inadeguatezza delle persone, facendo loro capire che la rivoluzione digitale porta tantissime opportunità che possono essere colte anche a livello individuale.
Il CIO deve farsi interprete di questa discontinuità con un forte presidio tecnologico, da un lato, e, dall’altro, la capacità di guardare al futuro in maniera non convenzionale.
La I di Information “I” si deve riferire anche a Integration, ovvero alla capacità di integrare pezzi di competenze distribuiti nell’organizzazione e nell’ecosistema, ormai senza confini, nel quale l’azienda si muove, il tutto per presidiare e abilitare l’Innovazione (terzo significato di questa “I”).
Essere Intrapreneur significa invece sostenere un ripensamento interno, sviluppare qualcosa di nuovo all’interno dell’azienda, lo Chief Intrapreneur Officer deve interpretare le tecnologie per scardinare vecchi schemi, non semplicemente per ottimizzare o innovare l’esistente. Quello che oggi serve è sfruttare queste tecnologie potenti, combinare intelligenza artificiale, big data, IoT, blockchain, realtà virtuale, analytics nelle loro declinazioni più avanzate per inventare nuovi modi di fare business, scoprire nuovi business.
Fonte: Zero Uno White Paper 2019 - Digital Trasformation